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Cosa sono gli orange wine?

Vini prodotti da vitigni a bacca bianca, gli orange wine si caratterizzano per la lunga fermentazione a cui sono sottoposti.  

 

Mentre i vini bianchi richiedono una fermentazione veloce, e dunque le bucce rimangono a contatto col mosto per un tempo limitato, nella produzione degli orange wine il processo è prolungato. Partendo da uve bianche, si attua infatti una vinificazione in rosso. E si ottiene così un vino ambrato, complesso per via dei tannini ma sapido e fresco al contempo. 

 

Come si producono gli orange wine

È bene sapere che tale tipologia di vino oggi tornata in auge, è in realtà molto antica. Molto tempo fa, quando la tecnologia non era così sviluppata e non c’era modo di separare fin da subito le bucce dal mosto, i vini bianchi si producevano come oggi si producono gli orange wine. Si ottenevano vini ambrati, dorati, striati di rosso. Poi la tecnologia si è evoluta, e si è giunti alla vinificazione in bianco. Gli orange wine, invece, continuano ad essere prodotti alla maniera antica. 

 

Il Paese d’origine degli orange wine è la Georgia. Qui, da quasi 8000 anni, si tramanda la loro vinificazione. Quest’ultima prevede la macerazione del mosto a contatto con le bucce, e una fermentazione lentissima all’interno delle anfore in terracotta (le cosiddette qvevri). Capienti circa 1000 litri, le anfore vengono chiuse ermeticamente, ricoperte di cera e interrate secondo un procedimento tutelato dall’Unesco.  

 

Eccezione fatta per tale particolare tradizione, la produzione degli orange wine segue le regole della vinificazione in rosso. Mentre per produrre il vino bianco si aziona una macchina che separa il mosto dalle bucce, eliminandole, negli orange wine le bucce restano a contatto col mosto dopo la pigiatura. Così facendo, rilasciano sostanze aromatiche, coloranti e lieviti indigeni dell’uva. Ciò è quanto avviene per la produzione degli orange wine italiani. Perché, sebbene siano nati in Georgia, i vini più famosi così prodotti nascono proprio nel nostro Paese. Il merito va a Josko Gravner, tra i principali protagonisti della vinificazione in Italia. Negli anni Novanta, Gravner abbandonò la vinificazione tradizionale per un ritorno alle origini, e diede il via a un movimento “nostalgico” che coinvolse ben presto l’intero Paese. 

 

Oggi, per la produzione degli orange wine, si impiegano uve resistenti e coriacee (ribolla, malvasia, pinot grigio). La durata della macerazione viene stabilita dal produttore, e l’affinamento può avvenire nelle anfore oppure in recipienti di legno o d’acciaio. La loro patria italiana d’elezione è Oslavia, sobborgo di Gorizia disseminato di vitigni ribolla gialla. I sette produttori del luogo hanno fondato nel 2010 l’Associazione Produttori Ribolla di Oslavia (APRO), e si sono attivati per assegnare alla Ribolla di Oslavia, il più celebre degli orange wine italiani, la Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG). 

 

In termini organolettici, gli orange wine sono più complessi e strutturati rispetto ai vini bianchi e rosati, soprattutto per la presenza dei tannini, ma conservano quella sensazione tipica di freschezza e sapidità. Il loro profumo può avere sentori di frutta matura o candita, agrumi, piante aromatiche e spezie come il pepe o la cannella. Molti orange wine profumano di frutta secca, di ossidazione e di crosta del pane. Ma tutto dipende dalle modalità di produzione, dalla durata della fermentazione e dal luogo di affinazione. Allo stesso modo, anche al palato possono essere molto eterogenei. 

 

Orange wine e gli abbinamenti a tavola

Gli orange wine vanno serviti in calici ampi, ad una temperatura di 12-14°C. Questo perché le loro caratteristiche organolettiche dipendono dal tempo in cui le bucce sono state a contatto col mosto, dal vitigno di partenza e dalla modalità di affinazione, ed anche gli abbinamenti ideali possono variare di molto. In genere vengono consigliati per accompagnare carni bianche e speziate, pesci grassi e affumicati, formaggi stagionati e primi piatti molto conditi. 

 

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